La cucina ebraica è l’emblema del recupero. La storia ebraica è fortemente caratterizzata da migrazioni e scambi. È un popolo che ha viaggiato alla ricerca di luoghi sicuri dove vivere, portandosi dietro la propria cultura gastronomica, acquisendo le materie prime locali ed interfacciandosi inevitabilmente con le popolazioni via via incontrate. Non è possibile definire una cucina coerentemente ebraica perché, fermi restanti i precetti, kasherut, nel loro insieme, varia a seconda dell’area di provenienza diretta. In Italia le influenze più significative derivano dalla cultura ebraica ashkenazita, ovvero proveniente dai territori nord orientali (Germania e nord della Siria), e dalla cultura ebraica sefardita ovvero provenienti dalla Penisola Iberica e dal bacino del sud del Mediterraneo. Aggiungiamo che, anche storicamente, le ricette dette alla giudea erano spesso preparazioni che nell’opinione comune ricordavano piatti ebraici per via dell’uso di sapori e spezie o per i tempi di preparazione, spesso senza essere effettivamente riconducibili a tale tradizione.

La centralità del recupero però è fuor di dubbio perché ai tratti culturali si uniscono le necessità di vita, spesso di difficoltà economiche, che costringono ad un uso totale e parsimonioso di qualunque materia prima. Vediamo qualche esempio.

L’utilizzo integro delle materie prime

Il quinto quarto è il principe della cucina ebraica. Pensiamo alla cucina romano-giudaica, profondamente radicata negli usi regionali: è dal II secolo a.C. che Roma ospita la più antica comunità ebraica d’Europa, nei cui Archivi ci sono testimonianze di ricette di animelle con i ceci, trippa con l’agliata, milza con salvia e agresto, lingua brasata, ventrigli e creste di pollo con aceto e cannella, rognoni e polmoni in guazzetto, tutti sapori decisi, il cui eco rimane ancora oggi nella cucina romana del quinto quarto. Dalla cultura ashkenazita deriva la consuetudine, accolta in Piemonte e Veneto, di preparare le gribenes, ovvero pezzetti di pelle d’oca fritti nel loro grasso. Oggi si utilizza anche la pelle di pollo fritta nell’olio vegetale.

Analogamente anche il pesce veniva utilizzato in ogni sua parte, via libera quindi a brodi e zuppe preparati con testa, lische e pelle. Abbiamo diverse versioni di questa gustosa preparazione nobilitate nel corso della storia e sparse per le nostre coste, che possiamo ricondurre ai contemporanei Cacciucco Livornese, o ai brodetti di Fano o Vasto.

 
La cucina del giorno dopo

E’necessaria per festeggiare lo Shabbat, il sabato, giorno di festa e di riposo assoluto: ci si deve astenere da qualsiasi attività, compreso il cucinare. Per cui sono state elaborate preparazioni perfette per “il giorno dopo”, come il pesce in scapece, o similmente in carpione, ovvero fritto in olio e poi conservato in aceto, aromi e spezie, di risonanza serfardita, o le cotture lentissime di zuppe e stufati come il Cholent ashkenazita, oggi a base di carne di manzo, patate, fagioli, orzo e uova; nella cui variante sefardita, Hamin, si usa il riso invece di fagioli ed orzo e carne di pollo anziché di manzo.

Tra i dolci, nelle Marche, la polenta avanzata veniva utilizzata per realizzare le beccute, biscotti all’olio di oliva addolciti con mandorle, noci, pinoli, fichi secchi e uvette. Altro dolce di recupero, popolare ad Urbino, era il dolce di pane con miele, simile al bostrengo odierno, dolce delle festività invernali tipico della zona del Montefeltro, e all’omologo bustrengo della tradizione romagnola. Originariamente prevedeva pane raffermo rinvenuto nel latte e arricchito con frutta secca e farina di mais. E ovviamente il castagnaccio, dolce tipico dei nostri boschi preparato con la farina di castagne, insieme a latte, uvetta e pinoli, oggi arricchito a seconda della zona in cui viene preparato, ad esempio con cioccolato o panna.

Recupero della memoria che si lega a tradizioni anche lontane storicamente e geograficamente

Ancor più che in altre cucine, quella ebraica è fiera di seguire le proprie tradizioni, e tramanda anche quelle assai antiche, con le inevitabili modifiche. Uno fra tutti, il Frizinsal o Ruota del Faraone, è uno dei piatti più complessi ed articolati della cucina ebraica ashkenazita. È una torta di maccheroni formata da tre strati di lasagne o tagliatelle, bollite in brodo di cappone, con un ripieno di fois gras, pezzetti di salame e prosciutto, ovviamente di oca, uva passa e pinoli, cotti al forno con grasso di oca e spolverati di zucchero e cannella.

Il Giorno della Memoria è quanto mai importante in questa epoca, in cui vediamo che in troppi hanno… la memoria corta! Le persecuzioni etniche sono purtroppo ancora una realtà. Per quando in un mondo globalizzato sembra anacronistico tutto ciò che prevede persecuzioni di razze e religioni, è ancora necessario ricordare che siamo tutti uguali sebbene nelle personali unicità.